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La Barca oltre la vita

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Capitolo 3

Dall’Altra Parte

I miei collaboratori sono seduti attorno al tavolo di legno, circondati da laptop, documenti e bicchieri d’acqua.

«Sappiamo che i campi magnetici si intrecciano, creando una forza che fa ruotare la turbina e genera elettricità continua. Un’energia pulita, illimitata, circa un gigawatt con una sola.» Se Sergio fosse qui, avrebbe già trovato una soluzione. Sfilo uno dei progetti e lo lancio al centro del tavolo.

Il tonfo fa sussultare Gianni, che finalmente solleva lo sguardo.

«Allora?» Il ticchettio delle sue unghie sul legno mi innervosisce. «Abbiamo un motore che potrebbe cambiare le carte in gioco, e voi cosa fate? Continuate a parlare di problemi.»

Gianni nasconde le dita sotto il ripiano, Sara beve un sorso d’acqua.

Roberto solleva appena la testa. «Funziona sfruttando il movimento di Terra e Luna, quindi se noi…»

«Lo so, cazzo! Ditemi qualcosa che mi sorprenda, fatemi felice una volta tanto.»

Roberto deglutisce. «Stiamo ancora cercando di risolve…»

«Cercando?» Mi giro e vado verso la finestra, dando una manata alle foglie della dieffenbachia. «Vi state nascondendo dietro questo dannato problemino.» Un ragnetto sgambetta lungo l’angolo del vetro. «È un ostacolo insormontabile? Lo è davvero?» Con la penna lo butto giù. «Perché vi pago proprio per superare i casini.» Lo schiaccio con la scarpa.

Le teste si abbassano. Cammino intorno al tavolo, nell’aria aleggia un leggero profumo di pesca e lavanda.

«Chi si è spruzzato addosso questo lezzo di pesca?»

Francesca finge di prendere appunti sul tablet.

«Non possiamo permetterci di rallentare. Abbiamo già perso troppo tempo.»

Sara accavalla le gambe. «Giorgio, ci stiamo lavorando. Innovare richiede tempo, è un processo–»

«Tu sei la responsabile del progetto e chiedi tempo!» Abbasso il tono della voce. «Non ne abbiamo, Sara. O risolviamo questo problema, o tutto il lavoro non sarà servito a niente. Voglio un piano, e lo voglio oggi.»

Lascio la stanza, sbatto la porta con un colpo secco e mi dirigo al mio ufficio. Incrocio Alberto, che si appiattisce contro la parete per farmi passare.

Le parole di Sergio continuano a rigirarmi in testa; la sua visione mi ronza dentro. Devo saperne di più.

Mi siedo alla scrivania e apro il laptop. Lo schermo si illumina, mostrando una cascata immersa nella natura; la luce azzurra mi acceca per un attimo.

Non so nemmeno da dove cominciare.

Nel motore di ricerca digito “esperienze di pre-morte.” Sembra stupido, eppure non ho altre parole.

Scrivo, cancello, riscrivo.

Premo invio e mi compare una sfilza di siti, blog, forum; gente che racconta storie… strane testimonianze di luci, tunnel, di pace. Alcuni sembrano folli, e li leggo, divorandoli uno dopo l’altro.

Una cimice verde svolazza intorno al ficus accanto alla scrivania, si posa sul davanzale, forse in cerca di libertà.

Molti dicono di aver visto qualcosa, di aver sentito una presenza, qualcuno che aspetta dall’altra parte.

Clicco su un articolo: “La luce alla fine del tunnel: una spiegazione scientifica o spirituale?” La mia mano resta ferma sul mouse, e la testa mi scoppia.

Sul lato dello schermo compare la foto di una donna sorridente, una testimonianza: “Sono stata in un luogo di luce, ho sentito amore, pace.”

Il mouse si sposta a scatti, e la pagina si apre a rallentatore, forse ce ne sono troppe. Video in pausa, documenti in download, PDF, studi e articoli pseudo-scientifici che parlano di coscienza, di anime, di qualcosa che va oltre la vita. Un labirinto di portali pieni di termini tecnici, la maggior parte dei quali non capisco.

Un post. Non ha nemmeno un titolo chiaro: “cosa succede davvero dopo?”

Sposto il cursore sopra il link e clicco. È scritto da qualcuno che si firma “M.R.” E basta.


Un team di scienziati sta lavorando a un progetto che potrebbe cambiare per sempre la nostra comprensione sulla morte. La compagnia afferma di essere vicina allo sviluppo di un dispositivo in grado portarci dove va l’anima dopo la morte. La notizia, ancora top secret, ha già attirato l’attenzione di ricercatori, filosofi, e gruppi religiosi, scatenando un acceso dibattito su questioni etiche e scientifiche.

Mi sembra assurdo.

Stiamo sviluppando una tecnologia che potrebbe aprire una finestra su ciò che succede dopo.


Le rotelle gracchiano. Tardi; di nuovo.

«Buongiorno, Signor Giorgio.»

Mi volto.

Stefania spinge il carrello con stracci, bastone e contenitori verdi e rosa.

«Ciao, prestino oggi.»

Lei afferra la scopa. «Solita ora per me... forse per lei è tardi.»

Mi giro verso la finestra. Il cielo si schiarisce a est, e il riflesso arancione traccia i contorni delle case. Sul marciapiede, una signora in tuta rosa strattona un Border Collie, deciso a infilare il naso nei bidoni della spazzatura. Un signore con lo zaino di Pikachu aspetta il primo tram di oggi.

Allargo il nodo alla cravatta. «Dammi due minuti ed esco, così puoi fare il tuo lavoro indisturbata.»

«Posso tornare dopo, faccio prima quello del signor Renzo.»

Torno al computer e apro il sito web aziendale. «Non serve.»


La pagina si carica lentamente, lasciando intravedere poche informazioni: un gruppo di ricerca specializzato nello studio sulla coscienza umana. Scorro fino alla sezione contatti e noto una breve nota: Stiamo cercando personale motivato per unirsi al nostro team. La posizione aperta è per manutentore elettrico.

Potrebbe essere l’occasione che aspettavo, una possibilità concreta per sapere come stanno le cose. C’è davvero qualcosa dopo?

Compongo il messaggio, allego il curriculum e clicco su “Invia”.


Alle sei e mezza spengo la sveglia con una manata. Mi alzo, trascinando i piedi fino al bagno; sollevo la tavoletta, premo la fronte contro la mattonella per non ribaltarmi e svuoto la vescica.

Inserisco la cialda con la cornice dorata nella macchinetta del caffè; la radio trasmette notizie sul traffico. Indosso i pantaloni, la camicia azzurra, e finisco la bevanda calda.

Due giri di chiave nella toppa, per sicurezza.

Sul marciapiede, zigzago tra le auto parcheggiate e faccio un salto per evitare una merda di cane. Due ragazzi con l’orecchino al naso e giubbotti di pelle borchiati mi vengono incontro; stringo la ventiquattrore, mi faccio da parte e li lascio passare.

Arrivo allo studio e digito il codice nel tastierino numerico per disattivare l’allarme. Sono il primo. Il cestino è vuoto; Stefania ha già sistemato tutto.

Passo davanti al diffusore, che mi spruzza addosso un aroma dolce e nauseabondo. Lo afferro e lo lancio nel cestino.

Accendo il computer e poggio la ventiquattrore ai piedi della scrivania.

Bussano alla porta.

«Buongiorno, Giorgio,» dice Giovanni entrando.

«Giova, hai controllato le specifiche del motore?»

«Sì, sto finendo di rivederle.»

«Potevi dirmelo che non saresti riuscito a consegnarmele lunedì! I tempi sono stretti, abbiamo tutti delle scadenze.» Appallottolo gli appunti e li butto nel cestino. «Se pensi di non farcela, ho un altro incarico più semplice per te.»

«Ma... Giorgio, io…»

«Datti una mossa, i clienti non li porta la cicogna.»

Stefano sbuca all’improvviso. «Stasera si esce, ci sei, Giorgio?»

Invio il progetto alla stampante. «Non lo so, vediamo.»

Il plotter cattura il foglio A3, lo risucchia nel rullo e avvia i suoi ticchettii ritmici.

«Dai, vieni! Ci siamo tutti.»

«Esattamente chi? Alessandro? Le sue battute mi fanno cagare! O Francesca, con quelle labbra nuove che sembrano copertoni di camion.» Recupero la stampa, sposto tastiera e mouse per fare spazio e la poggio sulla scrivania. «Passo. Non ho voglia di sentire i soliti discorsi su politica o calcio; si finisce sempre lì.»

Stefano picchietta la Bic sui denti. «Fa’ come vuoi.» Lascia la stanza sbattendo la porta.

Le curve di flusso magnetico non oscillano nel modo giusto. Qualcosa non torna. Mastico il tappo della penna. Il motore sfrutta la rotazione terrestre, sì, ma come risolvo la dispersione di energia che riduce il rendimento?

Mi alzo, sgranchisco il collo, cancello gli scarabocchi dalla lavagna. Se aumentiamo la velocità angolare… No, troppa instabilità. Se ridistribuiamo il carico…

Stringo il pennarello. Merda, cosa mi sfugge? Resto fermo, le mani sui fianchi, senza distogliere lo sguardo dalle formule. Si è fatto tardi e non concludo nulla. Spengo la luce, meglio andarsene, o rischio di impazzire.


Salgo le scale e supero il pianerottolo del terzo piano in punta di piedi, sperando di passare inosservato.

La serratura scatta, e appare la signora Teresa. «Giorgio caro, il condizionatore non funziona.»

«Mi faccia vedere.» Entro nell’appartamento. Un gatto nero, appollaiato sul bracciolo del divano, si lecca il sedere e miagola. Seguo la signora fino alla cucina, e il profumo del sugo che gorgoglia sul fuoco mi fa venire l’acquolina in bocca.

Lei mi passa il telecomando. «È tutto giusto, Giorgio caro?»

Imposto l’orario e la temperatura. «Ora è a posto, mi raccomando, non stia a toccare niente.»

Teresa si sfila il grembiule a quadretti rossi e bianchi. «Grazie, Giorgio caro, vuoi un po’ di sugo?» Mi agita sotto il naso il mestolo di legno.

«No, sto bene così. Grazie davvero.»

Si mette in punta di piedi e mi pizzica la guancia. «Sei così magro, ma stai mangiando abbastanza?»

«Certo, signora, anche troppo.»

Entro in casa e mi avvicino alla finestra.


Fuori, il cielo è una distesa di nuvole arancioni e rosa, divisa dal blu scuro dell’orizzonte. I lampioni si accendono, due falene si accartocciano sul marciapiede. Un odore pungente di letame mi invade le narici. Tappo il naso, abbasso la serranda e mi butto sul divano, al buio.

Fisso il soffitto.

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