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Capitolo 1
La promessa
«Maria!» La voce mi esplode in gola.
Sergio si gira e scuote il telo. «Chi sarebbe?»
Mi passo una mano sulla faccia. «Non lo so.»
All’orizzonte, il mare e il cielo non si staccano.
Sputa nella maschera. «Hai sognato?» Si infila le pinne. «Dai, vieni a fare il bagno.»
«Tra poco.»
«Come vuoi. Ma la tua tartaruga si è rintanata. Da quanto non vai a kickboxing?»
«Solo una settimana.»
Ride. «L’importante è che la coda tenga ancora.»
C’è qualcosa che non torna. Nessuno in giro; eppure...
La schiuma, ritirandosi, deposita una striscia scura di posidonia che serpeggia lungo le delicate curve costiere.
Oggi il sole brucia più del solito, e anche la brezza è calda. Per lo meno sa di mare e attenua l’odore di fritto.
Sergio corre da me, si mette sopra, a gambe aperte e gocce gelide d’acqua mi cadono sul ventre.
«Ti sei già stufato di rompere le scatole ai poveri pesci?»
Si china e mi bacia. «Vedi di farti la barba, poi ti resta il segno.» Le sue labbra sono salate.
«Pensa alla tua.»
Si sdraia accanto, con gli occhi chiusi, la testa sui palmi e un sorriso leggero, appena accennato. Si gira su un fianco, i capelli gli scivolano sul viso, coprendo la cicatrice sullo zigomo che mi fa impazzire.
Schiude le palpebre e sospira. «Stare qui è una vera figata, non trovi?» Solleva una mano al cielo limpido. «E pensare che tra qualche giorno saremo di nuovo in ufficio... Che palle!»
Due vele gonfie spuntano dalle onde, la prua punta all’isola piana.
«Potremmo farlo.» Mi sollevo sui gomiti. «Compriamo una casa al mare, lontano da tutto e tutti.»
Sergio ride. «Sì, solo per noi, senza stress.» Si volta in direzione del golfo dell’Asinara, gli occhi seguono le linee dell’orizzonte. «Svegliarsi ogni mattina con questo panorama, il sole che ci saluta sull’acqua e noi... liberi.»
Lascia scivolare la sabbia tra le dita, il suo profilo si staglia nitido contro il blu del cielo. Si siede, incrocia le gambe e afferra la borsa frigo. «Allora facciamolo davvero.» Prende due birre. «Non sto scherzando. Ma non una casa. Compriamo una barca e giriamo la Sardegna. Ci fermiamo dove ci va.»
Poco più in là, due bambine e un bambino sono accovacciati accanto a tre castelli di sabbia.
«Non dire minchiate, vuoi che passi tutto il tempo a rimettere?» Sollevo un sopracciglio e lui mi dà un buffetto sulla spalla.
«Dopo un po’ ti abitui.» Si fa serio, il sorriso più dolce. «Mi piacerebbe davvero. Io, te e una barca nel Mediterraneo.»
«E dai, una barca, le onde, il mare agitato, la salsedine... vuoi mettere con un caminetto, gli amici?» Si tira su, si avvicina e appoggia la fronte contro la mia.
«Un giorno lo faremo.»
Apre la lattina e me la passa, poi si mette in piedi, scrolla via la sabbia dall’asciugamano e lo posa. Infine, si lascia cadere all’indietro, aprendo le braccia. Lo osservo per qualche secondo e mi sdraio accanto a lui.
Le nostre dita si intrecciano. Restiamo così, con la cantilena del mare interrotta dalle urla dei gabbiani in cerca di cibo.
Finalmente a casa.
Mi siedo sul divano e scruto dentro la teca. I ragni si muovono lenti sui rami secchi che Sergio ha disposto a diversi livelli, incastrati l’uno sull’altro, formando piccoli nascondigli e passaggi. Stare vicino a loro mi mette a disagio.
«Ti si stringe lo stomaco ogni volta che li guardi, eh?» La voce di Sergio è calma. Mi accarezza la guancia. «Vuoi che li tolga dalla stanza?»
«No, no...» Sbuffo. «È solo che... non capisco come fai a trovarti bene con queste bestie.»
«Se avessi la tua allergia forse neanche io li adorerei così tanto.» I suoi occhi brillano nel riflesso del vetro.
«Ma non ti faranno niente, promesso.»
«Certo. E poi, una sera, mentre dormiamo, uno scappa e viene a darmi il bacio della buonanotte.»
Ride. «Sono chiusi bene, non hai nulla da temere.» Solleva il coperchio, rivelando un ragno nero, lucido. «Questo è uno dei più pericolosi per te.» Mi lancia uno sguardo. «Non male, vero?»«A me sembra un incubo a otto zampe.» La pelle d’oca corre lungo le braccia. «Perché tenerne uno in casa?»
Sfiora il vetro con le dita. «In foto non è la stessa cosa. Non vedi come si muovono, come reagiscono. Sono eleganti, perfetti. Creature che pochi capiscono.»
All’interno, il mostriciattolo solleva due zampe.
«Certo, ma c’è differenza tra capirne uno e tenerlo come animale domestico, no?»
Mi stringe a sé e mi bacia. «Ho sempre avuto gusti particolari.» Mi squadra da capo a piedi. E tu ne sei la prova.»
Ridacchia.
«Che simpatico.»
Si avvicina. «Ho una cosa per te. Chiudi gli occhi.»
Rumore di carta; sta aprendo un pacco. Cosa ci sarà?
«Puoi aprirli,» dice.
Davanti a me appare un modellino di barca a vela. «È bellissima. E questa?»
«Sarà la nostra casa, è così che l’ho immaginata, ed è così che la farò costruire.» Posa il modellino sul comò e si sdraia accanto, appoggiando la testa sulla mia coscia.
«Stanno per arrivare i nostri amici.»
Ci sono tutti. Sgombero il tavolino di legno scuro dalla pila di libri, rimuovo il segnalibro e ripongo Space Mission Analysis and Design sulla mensola. Al loro posto, dispongo i piattini con salatini, olive e tramezzini al centro.
Ci sediamo attorno al tavolo.
«Sì, certo che hai vinto tu,» dice Francesca, scuotendo la testa e versando altro vino nel bicchiere di Sergio. «Ma vorrei proprio sapere come hai fatto a convincere quel vecchio con la bancarella di pesce che i tuoi due ficus sono bonsai!»
Sergio alza le mani. «Gli ho solo detto che appartenevano alla mia collezione privata. Se poi lui ha creduto che valessero così tanto... beh, non è colpa mia.»
Alessio, dall’altra parte del tavolo, si piega in avanti. «Ah, sei sempre il solito, Sergio! Riusciresti a vendere acqua di mare ai pescatori.» Sposta l’attenzione su di me. «Sei fortunato, Giorgio, lo sai, vero?»
Mi appoggio allo schienale della sedia, con un bicchiere di vino tra le dita. «Certo, lo so.»
Francesca sorride e aggiusta i capelli arruffati, Alessio gesticola come farebbe un pittore davanti alla sua tela.
E Sergio... beh, con lui sto bene, come sempre. Mi basta la sua presenza.
Mi alzo per portare via i piatti vuoti. Sergio mi afferra il polso, facendomi girare. «Dove vai? Lascia stare, siediti. La domenica è fatta per rilassarsi, non per fare il cameriere.»
Mi siedo e spingo i piatti al centro del tavolo. «Qualcuno dovrà pur farlo.»
Francesca si butta sul divano. «Ci penserà Alessio, ha mangiato per tre.»
«Ehi!» fa lui. «Sono l’ospite.»
Alzo le spalle. «E infatti sto sparecchiando.»
Sergio ride, si avvicina e mi sussurra all’orecchio. «Ti amo quando fingi di darmi retta, ma alla fine fai come vuoi.» Mi bacia sulla guancia. «Questa barba inizia a pungere.»
Il suo respiro caldo mi sfiora il collo. «Pensa alla tua.»
Alessio si sporge sulla sedia e indica lo strumento appoggiato contro il muro. «Ehi, Sergio, non è ora di tirar fuori quella chitarra?»
Sergio mi lancia uno sguardo, allungando la mano, non ci arriva. Alessio lo anticipa urtando il comò, il prototipo della barca dondola pericolosamente, sta per cadere.
Sergio si alza di scatto e la prende al volo. «Okay, ma niente richieste strane.»
Mi giro verso Alessio. «Hai rischiato la vita, se avessi rotto quel modellino ti avrei ucciso.»
Alessio spalanca gli occhi. «Esagerato, solo per quello.»
«Non è solo una barca... è quella barca.»
Francesca si alza, apre il congelatore e prende la bottiglia di mirto. «Chi ne vuole un po’?» Passa lo straccio asciutto sul vetro ricoperto di brina.
«Fa’ come se fossi a casa tua eh!» Mi accomodo meglio sulla sedia. «Per me solo un goccio.»
Sergio inizia a suonare; le prime note sono lente, delicate, la sua voce si unisce alla melodia, morbida e calda.
Alessio batte le mani a ritmo sulle cosce, Francesca canta il ritornello con il bicchierino in mano.
Sergio muove la testa a tempo, gli occhi socchiusi.
Se fosse sempre così, domeniche insieme, risate, musica, vita. Sarebbe perfetto. Le cose belle hanno la pessima abitudine di darti una pacca sulla spalla e sparire.
La canzone finisce con una nota lunga, stonata; a nessuno di noi importa.
Sergio si appoggia allo schienale e mi guarda con quel suo sorriso furbo, che trova il modo di rilassarmi e farmi stare bene. «Giorgio,» dice. «La felicità, a volte, è a portata di mano. Basta accontentarsi di un po’ di vino.» Solleva il calice. «Degli amici giusti e di qualcuno da amare… magari meno rompiballe di te.» Mi strizza l’occhio.
Le candele sono ormai alla fine, il loro profumo di vaniglia si è diffuso in tutto il soggiorno. La luce illumina i quadri e i libri sparsi sulle mensole. Seduto sul tappeto con Sergio, la bottiglia di vino tra di noi, i bicchieri abbandonati accanto ai piatti sporchi della cena.
Ha la testa leggermente inclinata all’indietro, i capelli ricci sfiorano le spalle.
«Ricordami domani di sfilare il bastone dal sedere di Marta.»
Scoppia a ridere e mi spinge con la mano. «Sempre serio, e poi te ne esci con queste cavolate.»
«È lei che mi fa uscire di testa. Possiamo licenziarla? Ti prego.»
Le sue labbra sfiorano il mio collo, si spostano sulla guancia. Le dita si infilano tra i miei capelli, e i suoi occhi mi fissano con quell’intensità che mi fa sentire unico.
Mi lascio andare, lo abbraccio forte, le nostre mani scivolano l’una sull’altra, cerco ogni millimetro di lui.
Sbottono la sua camicia; il corpo è caldo contro il mio, i nostri respiri si incontrano, affannati.
La sua mano si ferma per un attimo sul petto. Un respiro più corto.
Lo bacio, e lui risponde con una fame che mi fa perdere la testa. Le sue dita si fanno più veloci, e la mia bocca scende lungo il suo torace. Sergio si blocca. Si irrigidisce. Si porta una mano al petto e mi guarda, gli occhi vuoti.
«Tutto a posto?»
«Sto... sto bene.» La sua voce trema e il volto diventa pallido in un istante.
Mi ritraggo. «Sergio!»
Lui si piega in avanti: una mano stringe il tappetto, l’altra si aggrappa a me. Si alza, barcolla, urta il comò: il diffusore cade, la fragranza di pesca invade la stanza. Il vaso con l’orchidea casca sul pavimento, mandandolo in frantumi.
«Sergio!» Lo scuoto. Piega la testa all’indietro, gli occhi spalancati, persi nel vuoto.
Non risponde e respira a fatica.
Corro in cucina, afferro il telefono con mani tremanti e digito il centodiciotto.
«Per favore, venite subito... il mio ragazzo... non riesce a respirare, ha dolore al petto... non so cosa fare, per favore, fate presto!»
Torno da lui, mi inginocchio accanto al suo corpo; le labbra bianche, chiude gli occhi.
«Sergio, per favore... stai con me. Respira, ti prego... il soccorritore sta arrivando.»
Ricaccio le lacrime negli occhi; non ho nessuna intenzione di lasciarlo andare. L’inferno dovrà strapparmelo.
«Hai sentito, figlio di puttana? Portamelo via e giuro che vengo a riprendermelo! Ti strappo il cuore, dannato bastardo!»
Sergio apre gli occhi per un istante; le labbra si aprono appena, senza produrre un suono. Le dita cercano la mia mano, gliela stringo.
I minuti passano e la sua pelle diventa più pallida, lo sto perdendo. L’ambulanza stride sempre più forte.
«Resisti.» Finalmente il suono acuto si dissolve nel nulla.
«Ti defili, eh? Proprio ora che volevo chiederti di sposarmi. Vigliacco!»
La porta si spalanca; irrompono le ombre dei paramedici che corrono da noi. Lo sollevano, gli parlano, gli danno ossigeno, ma io non capisco niente.
Lo portano via. Resto in ginocchio, solo.